MODIFICA DELLA FACCIATA O DELLE PARTI COMUNI DA PARTE DI UN CONDOMINO – MANCANZA DEL CONSENSO DEL CONDOMINIO – TUTELA IN AMBITO CIVILE E IN AMBITO AMMINISTRATIVO
E’ necessario il consenso dell’Assemblea condominiale per la modifica facciata o di altre parti comuni da parte di un singolo condomino?
Cosa succede se costui esegue tali modifiche senza il detto consenso?
Può essere rilasciata una autorizzazione edilizia in mancanza di detto consenso?
Un condomino può utilizzare le parti comuni sempre che questo non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condomini di fare altrettanto (art. 1102 Codice Civile). Tuttavia ove tale utilizzo comporti una modifica della cosa, deve valutarsi se ciò sia da considerare o meno una innovazione, e sicuramente è tale una modifica, ad esempio, della facciata palazzo. In tal caso, occorre una delibera della Assemblea dei Condomini che approvi tale innovazione, con la maggioranza ex art. 1120 Cod. Civ., ossia, con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti e purché tale maggioranza esprima almeno i 2/3 dei millesimi. In alcuni condomini il Regolamento di origine contrattuale può stabilire perfino che per tale modifica sia necessaria l’unanimità dei consensi.
Ma cosa accade se il Condomino, dopo essersi munito di autorizzazione amministrativa ai lavori, li esegua nonostante il voto contrario dell’Assemblea dei Condomini?
La tutela civilistica per lesione del possesso
Al riguardo si è recentemente pronunciato il Tribunale di Roma, con ordinanza dell’11.9.2023, ove ha ribadito che la carenza di autorizzazione dell’Assemblea richiesta dal regolamento di condominio comporta che l’esecuzione delle opere costituisca lesione possessoria e il Giudice sia esentato dal dover valutare se le opere stesse costituiscano o meno lesione del decoro architettonico dell’edificio: “Ed invero, nel premettere che non risulta in contestazione tra le parti la realizzazione ad opera della società resistente degli interventi denunciati nel ricorso, deve rilevarsi che assume rilievo dirimente la previsione contenuta nell’art. 11, al punto 9) del Regolamento condominiale, la quale dispone che “sono vietate al singolo condomino innovazioni e modifiche delle parti comuni non preventivamente autorizzate dall’assemblea”.
Orbene, in conformità all’orientamento consolidato della Suprema Corte, proprio in riferimento a disposizioni che, come quella sopra citata, stabiliscano il divieto al singolo condomino di apportare innovazioni e modifiche delle parti comuni non preventivamente autorizzate dall’assemblea, deve essere riconosciuta all’autonomia privata la facoltà di stipulare convenzioni che pongano limitazioni nell’interesse comune ai diritti dei condomini, anche relativamente al contenuto del diritto dominicale sulle parti comuni o di loro esclusiva proprietà (cfr., ex plurimis, Cass., sez. II, 19 dicembre 2017, n. 30528), non essendo, peraltro, in dubbio che il regolamento di Condominio possa validamente derogare alle disposizioni dell’art. 1102 c.c.
Tanto premesso, deve ritenersi che l’uso delle parti comuni da parte di un condomino in difformità da quanto previsto nel Regolamento condominiale rende, da una parte, illegittimo tale uso, mentre, dall’altra, lede il compossesso delle parti comuni da parte degli altri condomini, nella misura in cui, apportando sulle stesse una modifica o un’innovazione non autorizzata, viene ad incidere sulla modalità di godimento delle dette parti comuni da parte degli altri condomini sino a quel momento esercitata, integrando così una lesione possessoria.
Peraltro, considerato che la violazione del divieto di apportare modifiche o innovazioni sulle cose comuni integra già di per sé una lesione possessoria, in riferimento all’intervento di sostituzione delle finestre preesistenti con porte finestre effettuato sulla facciata principale dell’edificio, il giudice è esonerato dal valutare l’incidenza dell’intervento sul decoro architettonico, vieppiù ove si consideri che nel Regolamento condominiale “anche l’estetica delle facciate” risulta annoverata tra le parti comuni e che l’art. 11 del richiamato Regolamento al punto 8) prevede che “è vietata la realizzazione di qualsiasi opera che pregiudichi le strutture portanti del Condominio e quelle che ne alterino l’aspetto architettonico”; così come, analogamente, in riferimento all’installazione della canna fumaria, il giudice è esonerato dalla valutazione circa l’idoneità di tale opera a recare pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza dell’edificio e ad alterarne il decoro architettonico, non essendo in dubbio che l’appoggio della canna fumaria integra una modifica della cosa comune consentita, secondo la previsione del Regolamento condominiale, soltanto previa autorizzazione dell’assemblea.”
Né alcun rilievo può avere la intenzione di riportare la facciata all’aspetto architettonico che avrebbe avuto prima di quello attuale, che era quello in cui è stato creato il Regolamento contrattuale di Condominio, e nemmeno l’avvenuto rilascio della autorizzazione amministrativa a fare tali lavori, siccome rilasciata con salvezza dei diritti del terzi: “Né, del resto, può dubitarsi della natura vincolante del Regolamento condominiale per la società convenuta, considerato che nell’atto di acquisto dell’immobile facente parte del fabbricato condominiale, stipulato in data 30 ottobre 2020, all’art. 3 è stato espressamente previsto che “La vendita viene fatta ed accettata … con tutti i diritti e gli obblighi nascenti dal Regolamento di Condominio vigente, che la parte acquirente dichiara di ben conoscere ed accettare, impegnandosi ad osservarlo per sé e suoi aventi causa per qualsiasi titolo”, con la conseguenza che, a fronte dell’obbligo espressamente assunto, non può essere attribuita alcuna rilevanza ala circostanza, dedotta dalla società convenuta in riferimento all’intervento operato sulla facciata, che le porte finestre erano previste dal progetto originario del fabbricato, risalente al 1890 ovvero in epoca anteriore alla redazione del Regolamento condominiale, né alla circostanza che le opere siano state eseguite previa preventiva acquisizione di tutte le necessarie autorizzazioni da parte delle Autorità amministrative, in quanto tali autorizzazioni non possono, comunque, in alcun modo pregiudicare i diritti dei terzi.”
Ne segue che il Condomino dovrà ripristinare la situazione anteriore e risarcire i danni cagionati.
La tutela amministrativa per la illegittimità della autorizzazione edilizia.
Le autorizzazioni amministrative concernenti la facciata rilasciate al Condomino e senza aver acquisito il consenso dell’Assemblea dei Condomini sono in ogni caso illegittime in sé e il Condominio (e ogni singolo Condomino) ben può ottenerne l’annullamento.
Puntuale l’insegnamento rinvenibile nella decisione n. 219 del 12.1.2022 del Consiglio di Stato, sezione sesta, il quale ha ribadito che: “La giurisprudenza amministrativa ha, tuttavia, rilevato come occorra il consenso del condominio quando uno dei condomini intenda realizzare (o sanare), come nel caso di specie, opere che modifichino la facciata dell’edificio (Cons. Stato Sez. V, 21/10/2003, n. 6529; T.A.R. Campania Napoli Sez. VI, 16/11/2020, n. 5253).
Questo principio ha una portata generale e si applica anche quando l’interessato ritenga che le innovazioni sulle parti comuni non avrebbero alcuna rilevanza estetica, non essendo rimesso allo stesso considerare irrilevanti le innovazioni sotto il profilo estetico, qualora sia verificata la loro incidenza sostanziale sulla facciata dell’edificio condominiale.
Il “decoro architettonico” delle facciate costituisce, infatti, bene comune dell’edificio e pertanto ogni lavoro che su di esso sensibilmente incide, necessita dell’assenso dell’assemblea dei condomini, a prescindere dal giudizio sul risultato estetico dei lavori progettati (Cons. Stato, Sez. IV, 26 giugno 2012, n. 3772; Cass. II, 30/8/2004, n. 17398).
L’assenza del consenso dei condomini è un presupposto che il Comune deve accertare in sede istruttoria, secondo criteri di ragionevolezza, e si presenta come condizionante la legittimità del titolo abilitativo per la realizzazione delle opere.
Nel caso di specie l’intervento ha inciso indubbiamente in modo sostanziale sulla facciata dell’edificio ed è pacifico la mancanza di assenso del condominio alla realizzazione delle opere in questione, che al contrario era necessario.”
La medesima decisione ha confermato come, in materia di impugnativa di titoli abilitativi edilizi da parte del terzo, il termine decadenziale per impugnare decorre dall’inizio dei lavori, allorché si contesti l’an dell’edificazione, mentre ove si contesti il quomodo, il termine inizia a decorrere dalla fine dei lavori o dal momento in cui sia materialmente apprezzabile la reale portata dell’intervento.
“Il Collegio rileva come sia corretto l’assunto del T.A.R. che, in materia di impugnativa di titoli abilitativi edilizi da parte del terzo, applicabile anche al nullaosta soprintendentizio, fa decorrere il termine decadenziale per impugnare dall’inizio dei lavori, allorché si contesti l’an dell’edificazione, mentre ove si contesti il quomodo, il termine inizia a decorrere dalla fine dei lavori o dal momento in cui sia materialmente apprezzabile la reale portata dell’intervento.
In particolare, la giurisprudenza anche di questa Sezione ha precisato che il termine per impugnare il titolo abilitativo decorre dalla piena conoscenza del provvedimento, che ordinariamente s’intende avvenuta al completamento dei lavori, a meno che non sia data prova di una conoscenza anticipata da parte di chi eccepisce la tardività del ricorso anche a mezzo di presunzioni semplici (Cons. Stato Sez. VI, 09/01/2020, n. 191).
La “piena conoscenza”, ai fini della decorrenza del termine per la impugnazione di un titolo edilizio rilasciato a terzi viene individuata nell’inizio dei lavori, nel caso si sostenga che nessun manufatto poteva essere edificato sull’area; laddove si contesti il quomodo (distanze, consistenza ecc.), al completamento dei lavori o, in relazione al grado di sviluppo degli stessi, nel momento in cui si renda comunque palese l’esatta dimensione, consistenza, finalità, del manufatto in costruzione.
Il completamento dei lavori è, quindi, considerato indizio idoneo a far presumere la data della piena conoscenza del titolo edilizio, salvo che venga fornita la prova di una conoscenza anticipata (Cons. Stato Sez. II, 11/11/2019, n. 7692). L’esposizione del cartello di cantiere non integra, in sé, una forma di conoscenza legale del titolo edilizio (Cons. Stato Sez. IV, 21/10/2019, n. 7151).”
Questo costituisce un elemento fondamentale da tener presente per agire tempestivamente avverso il provvedimento amministrativo autorizzatorio, ai fini del suo annullamento e per poter richiedere, ricorrendone i presupposti, il risarcimento dei danni conseguiti.
Un consiglio operativo
Nella pratica, ove siano eseguiti lavori modificativi della facciata da parte del condomino senza previa autorizzazione dell’Assemblea, ben potrà essere proposta, dall’Amministratore del Condominio (che per tale azione non ha bisogno nemmeno di una delibera della Assemblea) ovvero anche da un singolo Condomino, una azione possessoria (entro un anno dall’intervento) per far ripristinare lo stato dei luoghi nonché potrà essere proposta, dai medesimi soggetti, una azione per far annullare le autorizzazioni amministrative concesse senza previa acquisizione del benestare della Assemblea dei Condomini a tali lavori.
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